Dentro una suggestiva cornice naturale per la ricca vegetazione e le rocce basaltiche dell'antico vulcano del Pelao a fare da corona, l'abitato di Bessude oggi si presenta curiosamente diviso in due nuclei abitati, con le case dai tetti rossi e il reticolo di stradine del centro storico a ridosso delle falde del monte ed il nuovo quartiere residenziale di Sa Sea più a valle.
Numerosi murales impreziosiscono le pareti degli edifici che si affacciano sulle strette vie del nucleo più antico. Qui sono presenti, oltre alla parrocchiale S. Martino, le chiese di S. Leonardo e Santa Croce. La prima, edificata nel 1620, è costituita da un'unica navata con volta spartita da archi ogivali che richiamano un gusto tardogotico, sulla quale si aprono quattro cappelle. Una di queste ospita la tomba di Francesco Carboni (1746-1817), autore di apprezzate opere in versi latini, tanto da essere definito da Melchiorre Cesarotti "primo latinista del secolo". L'altare maggiore è sormontato da un grande quadro raffigurante San Martino a cavallo che divide il mantello col poverello, opera forse di Baccio Gorini, esule fiorentino attivo nel Nord Sardegna nei primi decenni del seicento. Degno di nota, nella prima cappella che si incontra a sinistra dopo l'ingresso, il simulacro della Madonna Dormiente, un manichino ligneo recentemente restaurato, pregevole soprattutto per la preziosità del vestito ottocentesco dono di una nobildonna del paese.
La chiesa di Santa Croce, già oratorio dell'omonima confraternita, che si presenta con un'unica navata voltata a botte e una semplice facciata sormontata da un piccolo campanile a vela, è rifacimento ottocentesco di un più antico edificio sicuramente presente all'inizio del seicento.
Ma il monumento più pregevole è l'antica parrocchiale di S. Leonardo, un piccolo gioiello architettonico che unisce caratteristiche del romanico ad elementi di chiaro gusto gotigo. Le sue semplici linee esterne celano un interno, ripartito in tre navate, impreziosito da pregevoli elementi decorativi presenti negli archi che ne ripartiscono lo spazio e nelle nervature della volta del presbiterio.
Il territorio di Bessude ha un'estensione di 26 Kmq che si allunga in senso est ovest tra l'altopiano vulcanico del monte Pèlau (m 730) e il monte Gherra (m 658). Una depressione nella parte centrale accoglie le acque del bacino artificiale del Bidighinzu. Su un vasto tavolato calcareo non lontano dall'abitato si trova l'antico bosco di querce di Sa Silva, che si caratterizza per la presenza delle numerosissime pinnetas, bianche costruzioni di pietra che richiamano la forma della tholos, un tempo rifugio dei pastori.
Le superfici si presentano con un'alternanza di spazi ricoperti dalla vegetazione spontanea e di aree spoglie, dove un tempo le produzioni cerealicole affiancavano la pastorizia, la quale oggi appare praticata in via quasi esclusiva ed alquanto ridimensionata. Ed anche gli orti e i fruttetti, i vigneti e gli uliveti, che caratterizzavano le falde del Pelao e le piccole valli a ridosso dell'abitato, non ricevono più le cure di una volta.
Il passaggio dell'uomo in età preistorica è rinvenibile nei resti di una decina di nuraghi e nelle numerose domus de janas, tra le quali si deve ricordare la necropoli di Enas de Cannuia, che comprende la Tomba dei Pilastri Scolpiti, scoperta e resa nota da Ercole Contu. D'epoca romana sono alcuni siti evidenziati dalla presenza di materiale archelogico ancora sparso sul terreno in frammenti di ridotte dimensioni. Tracce più consistenti, tra cui i ruderi delle chiese, che si rilevano in alcune di quelle aree, attestano la presenza degli insediamenti medievali che vi si sono sovrapposti. Tre di questi (le ville scomparse di Mogoro, Sustana e Campulongu) sono confermati dalle fonti scritte. Così come la stessa Bessude, la cui denominazione deriva dal latino Versute (appellativo di versutus, astuto), quasi a richiamare la continuità nel tempo della presenza dell'uomo nello stesso luogo.
In età giudicale il villaggio aparteneva alla curatoria di Cabuabbas. Seguì quindi il destino dei villagggi di quest'ultima rimanendo a lungo sotto il dominio dei Doria fino al 1436, quando, sconfitto definitivamente l'ultimo esponente della potente famiglia ligure, il re aragonese costituì il feudo di Montemaggiore con i territori di Bessude, Thiesi e Cheremule e lo assegnò ai fratelli Manca di Sassari.
Nel lunghissimo periodo in cui perdurò il regime feudale, il villaggio dovette sopportare il duro regime fiscale imposto dai nuovi padroni e questo aggravava la condizione della popolazione, vittima spesso di pestilenze e di carestie. Particolarmente vessatorio si dimostrò uno degli ultimi feudatari, don Antonio Manca, che contribuì non poco ad aumentare il malcontento della popolazione. Fu così che la comunità di Bessude si rese protagonista dei moti antifeudali, sottoscrivendo con Thiesi e Cheremule (novembre 1795), il primo dei patti antifeudali delle popolazioni logudoresi e partecipando poi (ottobre 1800) con 150 armati alla difesa di Thiesi, quando la rivolta fu soppressa dalle autorità con l'invio di 1500 uomini.